05 ottobre 2005

Non posso invocarli quando gracida la fiamma e crepita lo stagno, hanno zanne limate dall'insonnia, rigate come un pistone sfiatato, come pitone chetato, inneggianti al groviglio come corno di rinoceronte o cono gelato: a volte s'acquattano assonnate tra stuoia e fuliggine, mentre altre tremano sperando di spaventare; non le temo più d'un tasto mal premuto, d'un termos al margine del dirupo, d'un grido goduto o d'un bagliore temuto, d'un fiuto distante, d'un istante che preme, d'una casa dalle chiuse ante, d'una brezza al limitare del gelo; non le bramo più d'un nefasto torrione diroccato, d'un filo di sputo di broccato, d'uno sfiatato polsino sdrucito, d'uno cucito alla vena del mattino, d'uno senza piglio o d'uno vermiglio.